Gli anni della maturità
Nel 1718 fu offerto a Vivaldi il prestigioso incarico di Maestro di cappella da camera alla corte del principe Filippo d’Assia-Darmstadt, governatore di Mantova e noto appassionato di musica. Egli si trasferì dunque nella città lombarda e vi rimase per circa tre anni. Di questo periodo, e precisamente della stagione 1720-1721, ci rimangono testimonianze di almeno tre opere tra le quali il Tito Manlio (RV 738, vedi Opere) e varie cantate e serenate. Successivamente Vivaldi fu a Milano, dove presentò nel 1721 il suo dramma pastorale La Silvia (RV 734) e nel 1722 l’oratorio L’adorazione delli tre re magi al bambino Gesù (RV 645, perduto). Sempre nel 1722 il compositore veneziano si recò a Roma, dove era stato invitato da papa Benedetto XIII a suonare per lui. Nel 1725 tornò a Venezia, dove nello stesso anno produsse quattro lavori teatrali.
Questo è anche il periodo in cui egli scrisse Le quattro stagioni, quattro concerti per violino che rappresentano le scene della natura in musica; probabilmente l’idea di comporre questi concerti gli venne mentre stava nelle campagne attorno Mantova e furono una rivoluzione nella concezione musicale: in essi Vivaldi rappresenta lo scorrere dei ruscelli, il canto degli uccelli, il latrato dei cani, il ronzio delle zanzare, il pianto dei pastori, la tempesta, i danzatori ubriachi, le notti silenziose, le feste di caccia (sia dal punto di vista del cacciatore che della preda), il paesaggio ghiacciato, i bambini che slittano sul ghiaccio e il bruciare dei fuochi. Ogni concerto è associato a un sonetto scritto dallo stesso Vivaldi, che descrive la scena raffigurata in musica. Furono pubblicati come i primi quattro concerti di una raccolta di dodici: Il cimento dell’armonia e dell’inventione Opus 8, pubblicata ad Amsterdam, nel 1725, da Michel-Charles Le Cène, che era succeduto ad Estienne Roger nell’attività editoriale.

Probabilmente durante il suo periodo a Mantova Vivaldi conobbe Anna Girò, all’epoca ancora bambina (la sua data di nascita è collocabile intorno al 1710), che era destinata a diventare sua allieva e protetta e ad acquistare gran fama come cantante lirica. Vivaldi allestì almeno 15 rappresentazioni operistiche con la partecipazione della Girò tra il 1723 e il 1740. Nonostante molta letteratura non scientifica abbia costruito delle fantasiose ipotesi su una possibile relazione amorosa tra i due, al momento essa non risulta comprovata da alcuna documentazione storica.
Gli ultimi anni e la morte
All’apice della sua carriera, Vivaldi ricevette numerose commissioni dalle famiglie nobiliari e reali d’Europa. La serenata La Gloria, Imeneo (RV 687) fu scritta per il matrimonio di Luigi XV. L’Opus 9, La cetra, fu dedicata all’imperatore Carlo VI. Vivaldi ebbe occasione d’incontrare l’imperatore in persona nel 1728, quando questi si recò a Trieste per supervisionare la costruzione di un nuovo porto. Carlo ammirò così tanto la musica del Prete Rosso, che, come egli stesso ebbe poi modo di riferire, si intrattenne più a lungo con il compositore in questa occasione, che non con i suoi ministri nell’arco di due anni. A Vivaldi egli conferì il titolo di cavaliere, attribuì una medaglia d’oro e avanzò un invito a corte a Vienna. Dal canto suo il musicista presentò all’imperatore una presunta copia del manoscritto de La cetra. Sennonché, questa raccolta di concerti è quasi completamente differente da quella pubblicata con lo stesso titolo, come Opus 9: probabilmente un ritardo di stampa aveva costretto Vivaldi a confezionare alla meglio una collezione improvvisata di concerti.
Nel 1730, accompagnato da suo padre, viaggiò a Vienna e a Praga, dove fu rappresentata, tra le altre, la sua opera Farnace (RV 711). Alcuni altri lavori di questo periodo segnarono il suo incontro con due dei maggiori librettisti italiani dell’epoca: L’Olimpiade e Catone in Utica furono scritte su libretto del già affermato Pietro Metastasio, che era divenuto nel 1730 poeta cesareo alla corte di Vienna, mentre il libretto della Griselda costituiva un adattamento, da parte della giovine speranza Carlo Goldoni, di un vecchio libretto del predecessore di Metastasio, Apostolo Zeno.
La vita di Vivaldi, come quella di molti compositori del suo tempo, si concluse infelicemente tra non indifferenti traversie di ordine economico ed umano. Le sue composizioni non venivano più particolarmente apprezzate a Venezia: i rapidi cambiamenti dei gusti musicali e l’affermazione dell’opera napoletana lo avevano messo fuori moda, e lui, in tutta risposta, decise di trasferirsi a Vienna, dove era stato invitato da Carlo VI e dove sperava forse di occupare qualche posizione ufficiale a corte. È inoltre alquanto probabile che Vivaldi avesse in mente di mettere in scena alcune sue opere al Kärntnertortheater. Per finanziare il suo trasferimento Vivaldi non esitò a svendere un considerevole numero di manoscritti. A concorrere alla sua determinazione di trasferirsi nella capitale asburgica, e di lasciare quindi per sempre l’Italia, era intervenuto, nel 1737, uno spiacevole episodio che aveva segnato profondamente l’animo del musicista.
Alla vigilia dell’inizio della stagione d’opera a Ferrara, con la quale Vivaldi sperava di rifarsi dalle difficoltà incontrate in patria, egli era stato convocato dal nunzio apostolico a Venezia che gli aveva notificato la proibizione di recarsi nella città emiliana, decisa nei suoi confronti dal cardinale arcivescovo della stessa, Tommaso Ruffo. Tale decisione, catastrofica a fronte dello stato d’avanzamento del progetto e degli impegni finanziari già assunti da Vivaldi, era motivata dal fatto che il Prete Rosso non diceva messa ed aveva l’abitudine di accompagnarsi con la Giró ed altre donne, oltre che dall’avversione in via di principio da parte dell’arcivescovo nei confronti del coinvolgimento dei preti negli affari dello spettacolo. Ciò è, almeno, quanto emerge da una lettera inviata da Vivaldi al suo protettore ferrarese, marchese Guido Bentivoglio, per cercare il suo appoggio nel tentativo di ottenere la revoca dell’interdizione vescovile. In essa Vivaldi esponeva le ragioni di salute per le quali non officiava più da tantissimi anni il servizio divino, e proclamava la perfetta correttezza dei suoi rapporti con le dame che lo accompagnavano, tutte di specchiate, e comprovabili, devozione ed onestà. Malgrado tutti i suoi sforzi Vivaldi non riuscì però ad ottenere alcunché e, al di là degli ingenti danni economici, ciò fu da lui considerato un affronto tale da spingerlo a chiudere definitivamente con l’Italia.
Disgraziatamente, poco dopo il suo arrivo a Vienna, nell’ottobre del 1740, Carlo VI morì. Ne seguì una guerra di dimensioni europee, la Guerra di successione austriaca che costrinse la figlia, la futura imperatrice Maria Teresa d’Austria, a fuggire in Ungheria. Questo tragico colpo della sorte, oltre ad aver portato all’immediata chiusura di tutti i teatri viennesi sino all’anno successivo, lasciò il compositore senza protezione imperiale e senza fonti di reddito. Cionondimeno, a Vivaldi, forse perché troppo malato o troppo povero, non restò altro che rimanere a Vienna, svendendo, per tirare avanti, altri suoi manoscritti, finché, nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1741, egli morì di infezione intestinale (o forse anche a causa di quell’asma bronchiale di cui soffriva fin dalla nascita) nell’appartamento affittato presso la vedova Maria Agate Wahlerin. La casa, che era strategicamente adiacente al Kärntnertortheater ed era conosciuta anche come Satlerisch Haus, fu distrutta nel XIX secolo, così come il teatro stesso, e al suo posto fu edificato l’Hotel Sacher. Il 28 luglio Vivaldi fu sepolto in una fossa comune al Spitaller Gottsacker di Vienna, con un funerale semplice detto “dei poveri”. Il luogo della sepoltura si trova a fianco della Karlskirche, nell’area attualmente occupata dalla sede centrale del Politecnico di Vienna, dato che il cimitero non esiste più. Targhe in sua memoria sono posizionate in entrambi i luoghi, come anche sono presenti una “Vivaldi star” nella Musikmeile viennese, un monumento nella Rooseveltsplatz e un memoriale nella Karlsplatz.
All’inizio egualmente sfortunata, anche la sua musica cadde nell’oscurità, dove rimase fin quasi alla metà del XX secolo, quando la figura di Vivaldi è tornata a stagliarsi prepotentemente nel panorama della storia della musica europea.
Non si ha conoscenza dettagliata degli strumenti appartenuti a Vivaldi; tuttavia è venuta alla luce una vicenda riguardante il violino fabbricato da Nicola Amati nel 1646 e donato negli anni ’30 del 900, al dittatore fascista Benito Mussolini, che ricollega tale strumento a Vivaldi stesso. Le vicende della vita del violino sono plurime e tutte legate dal fatto che esso fu uno degli strumenti abbandonati da Vivaldi a Venezia prima della sua ultima partenza per il nord negli anni antecedenti alla sua morte.

Testo: Liberamente tratto da Wikipedia
Immagini: Google Search
Video: Youtube

Andrea Natile


Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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