Giovanni Gregorio Cataldo Paisiello (Taranto, 9 maggio 1740 – Napoli, 5 giugno 1816) è stato un compositore italiano, uno degli ultimi grandi rappresentanti della scuola musicale napoletana ed uno dei più importanti compositori del Classicismo. Figura centrale dell’opera italiana della seconda metà del XVIII secolo, ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo dell’opera buffa.
 Le opere di Paisiello (se ne conoscono 94) abbondano di melodie, la cui bellezza leggiadra è tuttora apprezzata. Forse la più conosciuta tra queste arie è “Nel cor più non mi sento” dalla Molinara, immortalata anche nelle variazioni di Beethoven e Paganini, interpretata da alcune delle più grandi voci della storia, sia maschili (Pavarotti compreso) che femminili. La sua produzione di musica sacra molto ampia, comprendendo 8 messe (tra cui la “Messa di Natale per la cappella di Napoleone”, e la solenne Messa da requiem) oltre a numerosi lavori meno noti: compose anche molta musica strumentale da camera.
Oltre all’attività operistica, Paisiello è noto per aver composto Viva Ferdinando il re, adottato nel 1816 come inno nazionale del Regno delle Due Sicilie.
Nacque a Taranto in piazzetta Monte Oliveto da Francesco Paisiello, eminente chirurgo veterinario al servizio di Carlo III, re di Napoli.
All’età di 8 anni entrò al Collegio dei Padri Gesuiti a Taranto con la prospettiva di intraprendere la carriera giuridica; ben presto Giovanni rivelò un eccellente orecchio e notevoli qualità canore; ad accorgersi dei suoi talenti furono non solo i Gesuiti ma anche il patrizio tarantino Girolamo Carducci Agustini, che convinse Paisiello padre a mandare Giovanni a studiare a Napoli.
Appena tredicenne Giovanni partì con suo padre per Napoli e andò a studiare musica al conservatorio di Sant’Onofrio (vi fu ammesso l’8 giugno del 1753), dove entrò da convittore e studiò sotto la supervisione dell’allora direttore Francesco Durante, divenendo successivamente suo assistente. Alla morte di Francesco Durante (30 settembre 1755) la direzione dell’istituto passò a Carlo Cotumacci e Girolamo Abos; al perfezionamento di Paisiello nell’arte del contrappunto accudì soprattutto Joseph Doll, unico docente straniero nei conservatori napoletani.
Giunto a Bologna nell’estate 1763, Paisiello esordì al teatro Rangoni di Modena con l’opera buffa La moglie in calzoni (18 febbraio 1764), un adattamento dell’omonima commedia di Jacopo Angelo Nelli (1727).
Dopo una sosta a Roma nel febbraio 1766 – al Valle andò in scena l’intermezzo Le finte contesse (una riduzione del fortunato Marchese villano, dramma giocoso di Pietro Chiari) – Paisiello, rientrato a Napoli, ebbe nuove commissioni: in primavera La vedova di bel genio per il Teatro Nuovo, nel carnevale 1767 Le ’mbroglie de le bajasse per il Teatro dei Fiorentini.
Il periodo russo alla corte di Caterina II
Nel 1776, conclusi gli impegni di carnevale con i teatri di Roma (Le due contesse di Giuseppe Petrosellini al Valle, riallestita in un quindicennio 63 volte, e La disfatta di Dario del duca Carlo Diodato Morbilli all’Argentina) e di primavera col teatro Nuovo di Napoli (Dal finto il vero di Saverio Zini), Paisiello aprì un contenzioso con l’impresario del S. Carlo, Gaetano Santoro, nell’intento di rescindere il contratto per un’opera nuova, e ciò al fine di poter accettare l’incarico triennale di direttore musicale degli spettacoli alla corte della zarina Caterina II di Russia nella neonata San Pietroburgo (con un salario di 9000 rubli annui).
La scelta della zarina era caduta su Paisiello anche per l’interessamento palesato a pro dell’operista pugliese dall’imperatore Giuseppe II, la cui politica teatrale esercitò un chiaro influsso su quella pietroburghese. Il novello compositore di corte si dedicò per un anno intero a una tipologia di opera seria arricchita di inserti corali e coreutici consoni al contesto imperiale.
Paisiello riproponeva alla zarina i drammi giocosi più riusciti: a Pietroburgo nel 1778 Le due contesse e nel 1780 L’idolo cinese e La frascatana. Nel contempo a Napoli la fama di Paisiello si consolidò con la ripresa al S. Carlo della Disfatta di Dario (1777), e poi del Matrimonio inaspettato alla corte di Portici nel giugno 1781.
Il barbiere di Siviglia (L’Hermitage, 26 settembre 1782), intonato su una riduzione della commedia di Beaumarchais rappresentò la gloriosa epitome della permanenza in Russia cui
la critica, ha voluto tributare una prossimità con Le nozze di Figaro di Mozart e con l’opera buffa di Rossini.
Le mai sopite velleità di tornare a Napoli con la garanzia di un impiego a corte conobbero una svolta decisiva tra il 16 e il 19 agosto 1783. Siglò l’ultimo melodramma per la corte russa, che egli lasciò il 5 febbraio 1784, dopo aver ottenuto già l’8 dicembre 1783 il permesso di congedo per risolvere – questo il pretesto – i problemi di salute della moglie. Del 9 dicembre 1783 è invece la lettera che Antonio Pignatelli principe di Belmonte, maggiordomo maggiore, indirizzò da Caserta al consigliere della deputazione dei teatri di Napoli, per confermare la nomina di Paisiello a compositore della musica dei drammi della corte a titolo meramente onorifico.
Durante il viaggio di ritorno Paisiello soggiornò alla corte polacca a Varsavia, in attesa che Giuseppe II rientrasse a Vienna. L’operista tarantino giunse a Vienna il 1º maggio 1784. Compose Il re Teodoro in Venezia. Anche Mozart assistette a quest’opera e probabilmente aveva già avuto modo di ascoltare Il barbiere di Siviglia l’anno precedente; influenze del maestro napoletano risultano evidenti ne Le nozze di Figaro e in Don Giovanni).
Dopo aver rappresentato Il Re Teodoro a Vienna, giunto a Napoli sul finire dell’ottobre 1784 si mise al servizio di Ferdinando IV.
Nel 1789, compose una Missa defunctorum per il principino Gennaro Carlo Francesco di Borbone, morto di vaiolo nel gennaio di quell’anno.
Paisiello conquistò l’attenzione della committenza aristocratica e della corte.
L’agio del compositore fu sconvolto dagli eventi storici: quando il 21 dicembre 1798 la corte riparò in Sicilia per sottrarsi all’invasione francese, Paisiello non si unì ai realisti. Al ritorno dei Borbone, Paisiello giustificò la mancata partenza per la Sicilia adducendo il pretesto della malattia della moglie, ma le due petizioni di reintegro nei suoi offici musicali ebbero effetto soltanto il 7 luglio 1801.
Parigi e Napoleone
Ragioni diplomatiche derivate da cambiamenti politici e dinastici spiegano il trasferimento dell’ex-maestro di cappella reale a Parigi (vi giunse il 24 aprile 1802) finalizzato all’organizzazione dei fasti del primo console. L’infatuazione di Napoleone per Paisiello risaliva al 1797, anno della Musica funebre commissionatagli da Bonaparte stesso per onorare il generale Lazare Hoche, e crebbe nei due anni di permanenza del maestro a Parigi.
Il definitivo rientro nella Napoli di G. Bonaparte e Murat
Mal ambientatosi nel difficile ambiente musicale parigino, Paisiello ripartì per Napoli verso fine agosto 1804, dopo aver composto una Missa solemnis e riciclato un Te Deum del 1791 da usare per l’incoronazione di Napoleone in Notre Dame (2 dicembre). Per non perdere la stima e i lauti emolumenti dell’imperatore, Paisiello inviò poi con regolarità a Parigi un gran numero di brani sacri e una nuova composizione celebrativa per il genetliaco di Napoleone.
Nella Napoli di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat (1806-1815), Paisiello si congedò dalle scene teatrali con I pittagorici, un dramma d’un sol atto di Vincenzo Monti (S. Carlo, 19 marzo 1808) che commemorava le vittime della repressione del 1799: questo fu il vero motivo della rottura definitiva con la corte borbonica, tornata sul trono il 9 giugno 1815.
Rimasto vedovo da poco (23 gennaio 1815), privo degli onorari provenienti da Parigi e da Pietroburgo, Paisiello trascorse l’ultimo anno di vita in solitudine nel vano tentativo di risollevare a palazzo la propria reputazione.
Morì a Napoli per blocco intestinale il 5 giugno 1816.

Testo: Liberamente tratto da Wikipedia
Immagini: Google Search
Video: Youtube

Andrea Natile


Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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