Il re galantuomo: Vittorio Emanuele II | Quotidiano di GelaSubito dopo essere subentrato a suo padre Carlo Alberto, nel cingere la corona dei Savoia a seguito della disfatta di Custoza e della fuga del genitore in a Nizza e poi in Portogallo con falsi documenti, Vittorio Emanuele, dovette compiere il suo primo atto da Re.
Dalla mattina al pomeriggio del 24 marzo 1949, a Vignale, si contrattarono le condizioni di resa all’austriaco; l’accordo venne siglato il 26 marzo a Borgomanero. La prima guerra di indipendenza Italiana era finita in gran disastro.
Negli incontri ufficiali con il feldmaresciallo Josef Radetzky, Vittorio Emanuele prometteva di sciogliere i corpi volontari dell’esercito e cedeva agli austriaci la fortezza di Alessandria e il controllo dei territori compresi tra il Po, la Sesia e il Ticino, oltre a rifondere i danni di guerra con l’astronomica cifra di 75 milioni di franchi francesi.
Gli accordi dell’armistizio che, in ossequio all’articolo 5 dello Statuto Albertino, dovevano essere ratificati dalla Camera, per l’Atto di Pace. Il ’48 era finito, le rivoluzioni avevano perso, ma lui, unico sovrano in Europa, quello statuto si rifiutò di abolirlo; alcuni dicono per opportunismo, altri dissero che era un Galantuomo.
Un bell’inizio per il Re Galantuomo, no c’è che dire.

Di fisico possente, diverso da quello degli altri Savoia, era nato nel 1820, raccontano che fosse stato scambiato col vero figlio di Carlo Alberto, morto nella culla a seguito di un incendio del palazzo dove la coppia reale viveva a Firenze. Le male lingue dicono che fosse figlio d’un macellaio, guarda caso, diventato ricco poco dopo; fatto sta che pareva venire dalla strada, per le attitudini, più incline a tirar di sciabola che a intingere la penna. Nonostante il fior fiore di precettori che il padre gli aveva imposto e gli orari da caserma dedicati alla sua educazione, non imparò mai a scrivere una lettera senza lasciarci dentro qualche errorino di sintassi.
Amava il biliardo e l’arte della caccia, e non solo quella al fagiano; prediligeva le donne semplici, sui prati e nei fienili, meglio che sui divani di broccato. Finchè si innamorò sinceramente di una figlia del popolo, Rosa Vercellana, la bella Rosina; le scappatelle certo non gli mancarono. Si dice che in giro per il regno avesse seminato un numero imprecisato di figlioli, ma era da lei che correva a rifugiarsi quando non ne poteva più di lavoro ed dell’etichetta di corte. Le aveva fatto costruire a due passi dalla Venaria Reale, nella tenuta della Mandria una residenza che usava per la caccia e per poterle fare visita. Ebbe da lei Vittoria ed Emanuele.
Dopo aver assolto i suoi doveri di sovrano e sposando come di dovere una Signora di stirpe reale, Maria Adelaide D’Austria, da cui ebbe quattro figli, alla morte di lei non volle più risposarsi, nonostante il chiacchericcio sulla sua condotta sentimentale ormai mostrata alla luce del giorno. A niente valsero i consigli del gran segretario di stato, Camillo Benso, che lo spronavano ad accettare.
Sposò invece la bella Rosina per ben due volte, nel 1869 la prima . Nel 1865 Firenze era divenuta capitale del regno sabaudo, e lei lo aveva seguito, stabilendosi nella villa Medicea La Petraia. A causa di un a brutta polmonite, mentre si trovava nella tenuta di caccia di San Rossore, stava per morire e la sua Rosina non abbandonò un solo istante il suo capezzale; la sposò con contratto morganatico, ovvero senza diritto alla successione ereditaria;
La seconda volta fu a Roma, con rito civile, il 7 ottobre 1877.
Il
20 settembre 1870 il generale Cadorna aveva aperto una breccia a Porta Pia, e Vittorio Emanuele si era trasferito al Quirinale che non era più il palazzo dei Papi ma del Re dell’Italia tutta. A Roma per la sua Rosina aveva ribattezzato la splendida villa Ludovisi villa Mirafiori.
La sera del 5 gennaio 1878 gennaio, una forte febbre, sembra malarica, contratta per le lunghe ore passate a caccia nelle paludi laziali lo costrinse a letto.
Prima di morire, chiese di restare solo con i principi Umberto e Margherita, ma all’ultimo fece introdurre anche Emanuele, il figlio avuto dalla Bela Rosin, che per la prima volta si trovò di fronte al fratellastro Umberto, che non aveva mai voluto incontrarlo.
Assistito dai figli, ma non dalla sua Rosina, che si trovava alla Mandria, a cui era stato impedito di recarsi al capezzale dai ministri del Regno, moriva il Re Galantuomo.
La sua esistenza finiva a soli 58 anni, dopo quasi 29 anni di regno.

Testo Andrea Natile
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Categorie: Storia

Andrea Natile

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