Maestro dei manifesti e delle stampe a cavallo fra Otto e Novecento, Henri de Toulouse-Lautrec eseguì in tutta la sua carriera circa 30 manifesti.
Stile sintetico e tratto sicuro ben si prestavano alla grafica che consentiva un uso limitato di colori. Le litografie venivano realizzate su blocchi di pietra inchiostrata e poi impresse sulla carta attraverso un torchio manovrato a mano; Lautrec rifiniva le sue opere con uno spazzolino da denti.

Il manifesto che nel 1891 realizzò per il Moulin Rouge rese sia lui che il locale famosi in un sol colpo: la Goulue. Il Moulin Rouge era stato aperto poco prima da Charles Zidler; la Goulue è la stella del locale. Secondo Le Figaro del 1891, “i Parigini, sono attratti dalla quadriglia e dalla Goulue che esegue un passo impossibile da descrivere: balzi da capra impazzita, rovesciamenti all’indietro da pensare che si sarebbe spezzata in due, voli di gonne”.

Un altro celebre manifesto per Les Ambassadeurs uno dei caffè-concerto più rinomati degli Champs-Élysées: Aristide Bruant.
Henri ebbe un’amicizia con Aristide Bruant, uno chansonnier che fece fortuna e che cantava al Les Ambassadeurs.
Così lo descrive nel 1907 il critico Jules Pigasse: “Il manifesto: una sagoma, due o tre colori. Non c’è bisogno di altro per evocare la nullità ingombrante, volgare e presuntuosa di Bruant, che per qualche anno fu ammirato da pacifici borghesi a cui faceva pagare assai caro il piacere di essere insultati tutte le sere… da uno di questi falsi proletari con i castelli e i milioni, la cui razza, per nostra sfortuna, abbonda. Eccolo nella sua uniforme da falso operaio con la sciarpa rossa, che sottolinea con una nota insolente, l’orgoglio di questa maestà ampollosa”. Picasse fa riferimento al nuovo genere, fatto di canzoni con battute salaci, rivolte contro i clienti del suo locale, che venivano maltrattati con strofette del tipo: “Oh la la! Che ceffo! Che muso! Oh la la! Che muso che ha!”.

Le Divan Japonais, eseguito nel 1893 per un cafè-chantant ispirato all’Estremo Oriente, con sete dipinte e lacche. Sulla scena è raffigurata la cantante Yvette Guilbert ma, la Vera protagonista del manifesto è l’elegante figura di Jane Avril, interamente fasciata in un abito nero e accompagnata dal critico musicale Dujardin. La sua figura molto apprezzata dalla critica, che la descrive come “slanciata spettatrice dallo sguardo penetrante, le labbra provocanti, e l’alta figura snella, deliziosamente licenziosa. Che eleganza ha, quella squisita creatura nevrotica e nervosa”.

Fuori da quei locali ancora per un po’ è la Belle Époque ed è la Ville Lumiere.

Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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