Lo sapevate che… la parola invidia deriva all’unione tra il prefisso in = sopra + vĭdēre guardare. Letteralmente, guardare sopra; più liberamente, guardare con astio, guardare di sbieco, di traverso. L’invidioso infatti, conscio in modo doloroso della propria inferiorità, non può che guardare di sottecchi colui che invidia.

Per Aristotele l’invidia nasce sopratutto tra coloro che “sono o sembrano essere nostri pari,” ossia coloro che sono simili a noi per stirpe, parentela, età, reputazione e beni. Nella dottrina cristiana l’invidia compare fin dai tempi biblici con il fratricidio di Caino invidioso dell’amore di Dio per Abele. L’invidia è dunque il «peccato diabolico per eccellenza» Infatti si associa alla diffamazione, alla maldicenza.

L’invidioso viene raffigurato a spiare da lontano, con il viso accigliato. Ecco anche perché l’invidia è stata condannata dalla società: implica ostilità ed è socialmente distruttiva.

Soltanto nel XX secolo l’invidia è stata rivalutata, secondo la scienza è un campanello d’allarme: ci avverte che siamo perdenti nel confronto sociale. Nel corso dell’evoluzione si sarebbe rivelata un beneficio: gli individui invidiosi avrebbero investito più sforzi per raggiungere i loro rivali. L’invidia infatti può essere uno sprone, una chiamata all’azione per migliorarsi. O si cercano modi per “abbassare” una persona (è il caso dell’invidia “maligna”, distruttiva, l’invidia che fa ingegnare Iago a distruggere Otello) o si lavora duro per alzarsi al suo livello, ed è quello che accade nell’invidia benigna.

Professor X

Categorie: Parole

Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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