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Lo Stradivari
Ero all’inizio della mia carriera di medico dell’anima quando, al gruppo di lavoro di cui facevo parte a quel tempo, fu chiesto di occuparsi di una donna dall’indubbio fascino e dalle molteplici problematiche e dipendenze. Il marito della paziente era un professionista molto ricco, all’apparenza mite e generoso, soggiogato da questa donna che, nonostante le sue difficoltà a condurre una vita “normale”, riusciva a far leva sul suo fascino e sulla sua reale fragilità, per tenere legato l’uomo che ancora l’amava, ossessionato dalla sua bellezza e impaurito dalla gravità delle sue manifestazioni private e sociali. L’ antico palazzo del centro, dove fummo convocati per un primo incontro, intimidiva tutti noi, per la maestosità, la ricchezza e lo sfarzo di ciò che conteneva. I grandi quadri alle pareti dalle cornici sapientemente intagliate, gli specchi, i drappi, le grandi finestre che si aprivano su verande assolate dove grandi vasi contenevano piante dai colori magici e dai profumi inebrianti. Tutto era grande, forse eccessivo ma di indubbio fascino. Ad un certo punto il padrone di casa ci mostra una teca con dentro un violino, sapientemente adagiato su un sostegno coperto di velluto rosso porpora: “È uno Stradivari”, dice con orgoglio a noi che lo guardiamo increduli e inebetiti. Pochi giorni dopo l’équipe di lavoro si trasferisce nella splendida villa al mare dove dimorava la paziente e dove, la gravità e la stravaganza dei suoi sintomi e dei suoi vissuti, permette a tutto il gruppo di imparare, sul campo, la realtà di una professione affascinante quanto misteriosa e necessariamente impegnativa. I giorni passano, mettendo a frutto tutte le nostre conoscenze, capacità ed entusiasmo, là dove il confronto costante riesce a supplire all’inesperienza di noi giovani operatori. Riusciamo a realizzare un rapporto di fiducia e di empatia che sembra dare dei risultati apprezzabili e apprezzati, anche al di là del previsto. La paziente, dopo essersi liberata dal bagaglio di malessere che la portava a farsi del male in modo coattivo, appare più serena e collaborativa, e inizia a progettare un nuovo modo di rapportarsi agli altri significativi, un nuovo modo di viversi, come donna e come madre. Prima di terminare la “cura” ricevo una telefonata dove mi si comunica la morte per affogamento del mio primo nipote, a soli nove anni. Decido di lasciare il gruppo e di occuparmi dei miei affetti…
Gli anni passano, mi ritrovo in un letto d’ospedale per banali accertamenti. Accanto al mio letto ecco quel ricco signore, marito di quella mia prima paziente, tristemente solo. Ricordo la ricchezza dalla quale ero rimasto impressionato e quel prezioso violino. Guardando bene, mi accorgo che il cuscino, sul quale il signore aveva appena poggiato la testa, aveva delle piccole macchie di sangue. Capisco che il paziente non è in grado di valutare la situazione, sul fatto che il cuscino non è stato cambiato. Chiamo subito un infermiere e lo prego di fare il cambio necessario. Con la testa adagiata sul cuscino pulito, il mio vicino di letto, rivolge il viso verso di me e, pur non riconoscendomi, mi ringrazia con un debole sorriso.

Vincenzo Ampolo

Categorie: Psicologia

Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

1 commento

Andrea · 20 Marzo 2018 alle 15:35

Uno Stradivari…strumento di grande fascino e grande fragilità. Solo in pochi possono cavarne la sostanza del suo suono. Gli altri devono accontentarsi di mirarlo dai vetri di una teca… affascinati dalla sola forma.
La teca protegge… dagli sbalzi di temperatura, d’umidità, d’usura; ma si fa prigione, si fa possesso.
Si nega alla sua musica di viaggiare, si nega al concerto… quanta maestria di liutaio sprecate.

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