“Il senso di una parola non è altro che la matassa scintillante di concetti e di immagini che luccicano per un istante intorno ad essa. Il residuo di questa chiarezza semantica orienterà l’estensione del grafo luminoso scatenato dalla parola seguente e così di seguito, fino a quando una forma particolare, una immagine globale brilli per un istante nella notte del senso. Essa trasformerà forse impercettibilmente la carta del cielo, poi scomparirà per lasciar posto ad altre costellazioni.”

Pierre Levy

Parole ascoltate dalla voce della madre.
Parole con le quali ci viene presentato il mondo nei suoi minimi particolari, viene denominata ogni cosa, come pure ogni sentimento che le singole cose ci stimolano.
Il suono delle parole sottolinea la dolcezza, la leggerezza, l’allegria di certe situazioni, come pure la tristezza, la malinconia, la sofferenza di altre.
La palla rotola allegramente, le nuvole giocano il gioco delle metamorfosi, le gocce di pioggia danzano fuori dalla finestra mentre il nonno sonnecchia seduto sulla sua poltrona.
Disturbato dal suono delle parole, il nonno si sveglia e borbotta che vuole silenzio.
Ma i bambini non amano il silenzio, vogliono sapere, conoscere, ascoltare il nome, il suono delle cose, vogliono conoscerne il senso.
Il caos si ordina per mezzo delle parole.
Tutto diventa conoscibile e rassicurante se ha un nome, perchè tutto è quello che è, e non altro.
Una volta imparati i nomi delle cose, le cose stesse vengono catalogate  e riposte in spazi più ampi, insiemi mentali che operano i dovuti distinguo.
Il bello e il brutto, il dolce e il salato, l’allegro e il triste, ciò che piace e ciò che dispiace e tanti  altri cassetti mentali entro cui sistemare ciò che si conosce fino a quel momento.
Con il tempo si imparerà a distinguere ancora tra ciò che appare e ciò che in realtà è, a cogliere le sfumature tra il bene e il male e ad attingere dall’esperienza del dolore i motivi per essere felici.
Il bambino cresce,  ora si nutre di favole, di racconti, di storie.
Immagini mentali dell’esistente, dei modi dell’esistere, delle possibilità che l’uomo ha di sfidare il caos, di modificare gli eventi, di vincere le proprie paure.
I mostri archetipici sono diventati ormai cartoni animati con i quali combattere in modo interattivo, ma le catastrofi, le violenze, gli eccidi, le carestie a cui assistiamo quotidianamente, sono reali,  inevitabilmente reali e prospettano paure ancestrali, angosce insanabili e soluzioni improbabili.
Rischiamo di essere invasi, travolti dalle parole e dalle immagini che a queste si accompagnano, se non impariamo ad arginarne il senso catastrofico.
Le parole che aleggiano fuori e dentro di noi vanno afferrate, riconosciute,  addomesticate con cura e pazienza, per ricavarne motivi di ripensamento, di risanamento, di crescita.(1)

  V. Ampolo

 

1- Cfr. V. Ampolo “L’arlecchino ritrovato – La ricerca dei legami e delle relazioni.” in L’Immaginale – rassegna di psicologia immaginale , n.14, Anno 9°, Aprile 1993, pp.105-111

 

 

 


Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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