Prendo in prestito il titolo di uno dei più importanti saggi di Erasmo da Rotterdam pubblicato per la prima volta nel 1511 per descrivere la vicenda umana di John Nash, Nobel per l’economia nel 1994
Tra i matematici più brillanti e originali del Novecento, Nash ha rivoluzionato l’economia con i suoi studi di matematica applicata alla teoria dei giochi.
Geniale e raffinato matematico puro, con un’abilità fuori dal comune nell’affrontare i problemi da un’ottica nuova trovando soluzioni eleganti a problemi complessi.
John Nash nasce in Virginia nel 1928. Già da piccolo rivelò un carattere solitario, introverso e un po’ stravagante. Scostante, Johnny preferiva rimanere per conto proprio a leggere libri. Anche la sua frequenza scolastica, all’inizio, fu problematica; Nash era annoiato dalla scuola. Gli insegnanti non videro il suo genio e i suoi talenti; ma solo la sua mancanza di abilità sociali.
Al liceo, però, la sua superiorità intellettuale sui compagni gli procurò considerazione e rispetto. Ottenne una prestigiosa borsa di studio, la George Westinghouse Scholarship, e si recò nel 1945 a Pittsburgh, alla Carnegie Mellon, per studiare ingegneria chimica. Appena dopo sei mesi, però, il suo interesse per la matematica lo allontanò dalla chimica.
John cambiò indirizzo, scegliendo matematica e cominciò subito a mostrare abilità eccezionali, specialmente nella soluzione di problemi complessi.
Al di fuori di questo ambito, si comportava in modo eccentrico. Non riuscì a instaurare rapporti di amicizia né con donne né con uomini. I suoi compagni di università lo consideravano strano e socialmente inetto.
Si laureò in matematica nel 1948 e ricevette offerte di borsa di studio per un dottorato dalle Università di Harvard, Princeton, Chicago e Michigan. Il rettore della facoltà di Princeton, gli offrì la John S. Kennedy, la borsa di studio più prestigiosa del dipartimento. Nash entrò a Princeton, dove insegnavano, fra gli altri, Albert Einstein e John von Neumann. Nella lettera di presentazione, scritta dal rettore, che Nash portò con se, vi era scritta solo una frase: «Quest’uomo è un genio».
A Princeton nel 1948, Nash ebbe subito grandi interessi nella matematica pura: topologia, geometria algebrica, teoria dei giochi e logica. Non gli interessava tessere rapporti con altri specialisti, preferiva risolvere un problema con le sue forze e i suoi strumenti originali. Nel 1949, mentre studiava per il suo dottorato, Nash stabilì i principi matematici della teoria dei giochi che 45 anni più tardi gli sarebbe valso il Premio Nobel per l’economia.
Nel febbraio del 1957, a Washington, Nash sposò Alicia Larde, una studentessa che assisteva a una sua lezione al MIT. Dovette convivere con lui la schizofrenia per più di trent’anni.
Nash cominciò un periodo lunghissimo della sua vita, in cui alternò momenti di lucidità, durante i quali riusciva a lavorare, a crisi in cui la sua salute mentale sembrava seriamente deteriorata. I deliri più ricorrenti riguardavano visioni di messaggi criptati provenienti da extraterrestri o da spie russe.
Nell’inverno del 1959 il primo segno visibile della malattia di Nash apparve quando aveva trent’anni ed era professore al MIT. Nash entrò nella sala professori con il New York Times in mano e dichiarò che l’articolo in alto a sinistra della prima pagina conteneva un messaggio cifrato da abitanti di un’altra galassia che solo lui sapeva decifrare. I colleghi pensarono che stesse scherzando.
Sua moglie Alicia decise di convincerlo a farsi ricoverare ma al rifiuto di Nash firmò per un ricovero coatto. Nash fu ricoverato per la prima volta nel 1959. Dopo un’anamnesi molto accurata, arrivò la diagnosi di schizofrenia paranoide.
Seguirono le dimissioni dal suo posto di professore al MIT. Nel 1961 Nash fu ricoverato per la seconda volta e sottoposto cinque giorni a settimana per sei settimane consecutive allo shock insulinico. Questo creò una frattura tra John e Alicia, che culminò nel divorzio nel 1962. Nash fu ricoverato numerose altre volte.
Qualche ex collega di Princeton e del MIT aiutò Nash con lavori su progetti di ricerca, anche se molto spesso Nash non accettava aiuto. Riuscirono a fargli ottenere un premio in denaro per lavori di matematica. Gli offrirono altre forme di aiuto, come dare l’accesso ai computer universitari o inviti ai seminari di vecchi amici.
Dopo alcuni spostamenti, nel 1970 Nash tornò al fianco della moglie Alicia e si risposarono nel 2001. Alicia lo sostenne in tutti i modi e con grandi sacrifici. Nash non fece più uso di farmaci antipsicotici a partire dal 1970. Dopo lunghi travagli, imparò a gestire i sintomi. All’inizio degli anni novanta, quando le crisi sembrarono cessare. Nash poté tornare al suo lavoro con maggiore serenità, integrandosi nel sistema accademico internazionale e imparando a dialogare e a collaborare con altri colleghi.
Nel 1994 il conferimento del premio Nobel per l’economia, attribuitogli per i suoi contributi giovanili all’applicazione della teoria dei giochi non cooperativi all’economia, “l’Equilibrio di Nash”.
John Nash morì con la moglie Alicia il 23 maggio 2015 a ottantasei anni, in un incidente stradale nel New Jersey. Nash era in taxi presso l’aeroporto di Newark di ritorno dalla Norvegia dove si era recato per ritirare un prestigioso premio matematico, l’Abel Prize.
La biografia di John Nash è stata scritta da Sylvia Nasar, edito in Italia col titolo “Il genio dei numeri – Storia di John Forbes Nash Jr., matematico e folle”.
Da quella biografia, omettendo i particolari più spiacevoli, è stato tratto un film A Beautiful Mind (2001) del regista statunitense Ron Howard, vincitore di quattro Golden Globe e di altrettanti Oscar. Nel film John Nash è interpretato da Russell Crowe.
C’è una scena che mi commuove sempre, “l’omaggio della penna”.
Nel Campus, si è appena sparsa la voce che a vincere il Nobel per l’economia quell’anno è stato John Nash. E’ tradizione, che i colleghi offrano, in segno di stima, la propria penna al vincitore.
Nella grande sala dove tutti i docenti si incontrano per pranzare, si dispongono tutti in una lunga fila, con in mano la propria penna da posare sul tavolo del collega.
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