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Nicola di Lorenzo Gabrini, detto Cola di Rienzo nasce a Roma nel 1313 nel rione Arenula “presso il Monte dei Cenci, il Tempio dei Giudei, i molini e il Tevere”, figlio di un taverniere e di una lavandaia, di condizione assai modesta.
Si mostrò fin da giovanissimo, oltre che di bell’aspetto, d’intelligenza assai vivace e appassionato dell’antichità. Studiò lettere e latino, ottimo oratore, divenne notaio, e fu mandato ad Avignone alla corte di Clemente VI come ambasciatore del governo popolare di Roma.
Colse l’occasione per lamentarsi dei soprusi dei baroni romani e il papa lo apprezzò molto. Ma così si attirò le ire del cardinale Giovanni Colonna.
Tornò a Roma nel 1344 con l’incarico di notaio della Camera Apostolica, che amministrava le finanze le leggi e la giustizia.
Per farsi comprendere anche dai ceti più poveri fece dipingere sul Campidoglio un grande affresco. In un mare tempestoso, c’era Roma vestita a lutto, circondata da altre donne già morte che rappresentavano Babilonia, Cartagine, Troia e Gerusalemme. A minacciarla, leoni, lupi e orsi, a rappresentare i baroni; cani, porci e caprioli a rappresentare i loro clienti; pecoroni, a rappresentare il popolo inerte. A beneficio di chi sapeva leggere, tutte le figure avevano il loro cartiglio, come in un fumetto.
In Laterano un altro affresco rappresentava il Senato romano che investiva Vespasiano del potere imperiale. A significare che il popolo romano investiva lui di ogni potere.
In un terzo affresco fatto eseguire nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, erano rappresentati una gran fiamma infernale nella quale ardevano nobili e popolari, e Roma nella figura di una vecchia donna che cercava di scampare al fuoco. La città pativa, da molto tempo, grandi violenze e miserie.
I ragionamenti sul bisogno di sollevare la città dalla prepotenza dei baroni e dalla miseria che ne nasceva fecero breccia sui cittadini. Lo stesso vicario del papa consentì. Alla fine di aprile del 1347 Cola di Rienzo salì al Campidoglio.
L’obiettivo era fare di Roma un Comune dotato di propri ordinamenti, governato da rappresentanti del popolo. limitare la violenza privata applicando la legge del taglione e istituendo milizie rionali mantenute a spese pubbliche. Stabilire nuovi rapporti politici con i baroni e con le città vicine che essi tenevano infeudate.
Questo programma di governo entusiasmò il popolo, che gli conferì la signoria del comune. La prima reazione dei baroni fu rabbiosa: Stefano Colonna, proclamò «io lo farraio iettare dalle finiestre de Campituoglio!».
Il popolo però, richiamato dalle campane a stormo, intervenne con furore e mise in fuga il Colonna, e Cola comandò che i baroni si ritirassero nei loro castelli fuori città. Dopodiché, fece giustizia sommaria dei loro uomini, che si erano resi protagonisti di violenza. Si fece nominare «Tribuno del popolo romano».
I baroni tentarono di organizzare una congiura contro il tribuno ma, rissosi e competitivi com’erano, non riuscirono ad accordarsi contro il nemico comune e vennero, uno per volta, ad arrenderglisi. Per primi arrivarono i Colonna, poi gli Orsini, infine i Savelli,
Cominciò allora un breve periodo in cui sembrò che Roma, partendo dalla memoria dell’antica grandezza, potesse sviluppare una civiltà comunale. Giudici, notai, mercanti, giurarono fedeltà al nuovo Comune; in Campidoglio si amministrava una giustizia equa, severa contro i baroni ma anche contro i popolani che avessero approfittato del proprio ufficio.
Tutta Roma, compresa la maggior parte dei nobili, mostrava grande rispetto e pagava al Comune senza protestare i tributi. Cola intraprese anche una sua politica estera, mandando messi per l’Italia, all’Imperatore e al Papa, ad annunciare la nuova Roma.
Poi l’incantesimo si ruppe: in Cola il sentimento di grandezza, di Roma e sua propria, cominciò a sconfinare nel delirio. Si proclamò cavaliere, tra grandi festeggiamenti e proclamazioni che cominciavano a suscitare resistenze e mormorii. Fece arrestare i Colonna e gli Orsini che lo avevano sostenuto, minacciandoli di esecuzione. Quelli ripararono nei loro castelli e cominciarono a fare scorrerie.
Cola prima devastò le loro terre, poi li sconfisse nella battaglia di Porta San Lorenzo. Poi si convertì in tiranno e si abbandonò al lusso più sfrenato. Il legato pontificio lo abbandonò, i baroni rialzarono la testa, il popolo non accorse più alle scampanate.
Spaventato a morte si rifugiò a Castel Sant’Angelo, mentre il legato lo dichiarava eretico e nominava nuovi senatori. Riuscì a fuggire da Roma, travestito da frate, rifugiandosi prima in Boemia, poi, decise di andare a presentarsi al papa in Avignone. Il papa era allora Innocenzo VI, che prima lo imprigionò poi si convinse a revocare il suo processo e a rimandarlo a Roma. Era il 24 settembre 1353.
Cola riuscì con qualche fatica a farsi finanziare il viaggio e una compagnia di qualche centinaio di armati, fra cui mercenari tedeschi.
Arrivato a Roma, il popolo gli uscì incontro con grande cordialità. Mentre «li potienti stavano alla guattata», lo accompagnarono festosi da porta Castello fino al Campidoglio e ascoltarono entusiasti il suo discorso.
Ma alla fine delle cerimonie di rientro si vide che l’uomo, pur mantenendo la sua grande abilità oratoria, era diventato un grasso ubriacone incline a straparlare. Assetato di vendetta contro chi lo aveva scacciato da Roma impose nuove gabelle che lo resero presto inviso.
L’8 ottobre 1354, un suo capitano che aveva destituito sollevò il popolo e lo condusse sul Campidoglio. Abbandonato da tutti, tentò per l’ultima volta di arringare i romani, che risposero dando fuoco alle porte.
Cercando di scampare travestendosi da pezzente, fu riconosciuto dai braccialetti d’oro che non si era voluto togliere; smascherato e condotto in una sala per essere giudicato fu pugnalato a morte da un popolano.
Altri seguitarono ad infierire sul cadavere che fu trascinato alle case dei Colonna, e lì lasciato appeso per due giorni e una notte. Il terzo giorno trascinato presso il Mausoleo di Augusto, fu bruciato e le ceneri disperse al vento.
Salendo la grande scalinata progettata da Michelangelo e realizzata da Giacomo Della Porta che permette di accedere alla piazza del Campidoglio, la cosiddetta “Cordonata”, incontriamo, nel giardino che la fiancheggia, il piccolo monumento in bronzo dedicato a Cola di Rienzo, opera di Girolamo Masini, inaugurato il 20 settembre 1887.
Testo Andrea Natile
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Libri:
Cola di Rienzo. Roma, 1347. La folle vita del rivoluzionario che inventò l'Italia - Claudio Fracassi - copertina

Andrea Natile

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