Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della storia della canzone italiana, Vincenzo Jannacci nasce a Milano nel 1935, figlio di un Maresciallo dell’Aeronautica che partecipò alla Resistenza.
Dopo il liceo Scientifico e otto anni di pianoforte si diploma in armonia, composizione e direzione d’orchestra al Giuseppe Verdi.
Nel 1969, si laurea in medicina alla Statale. Come il padre, voleva imparare cosa fosse la sofferenza e stare vicino alla gente. Per la specializzazione in chirurgia generale, si trasferisce in Sudafrica, nell’équipe di Barnard il cardiochirurgo del primo trapianto cardiaco; poi va alla Columbia University e si occupa di terapia intensiva e chirurgia toracica. Ha sempre esercitato, fino alla pensione. Ha sempre dichiarato di sentirsi un medico prima che artista dello spettacolo.
Il 1º gennaio 2003, primo giorno di pensione come medico muore l’amico Giorgio Gaber.
Sposa Giuliana Orefice e nel 1972 nasce il suo unico figlio Paolo, che diventerà musicista e compositore.
Frequenta gli ambienti del cabaret e si avvicina al jazz., scopre anche il rock and roll di Chuck Berry, Bill Haley ed Elvis Presley. Nel 1956 diventa tastierista dei Rocky Mountains, e conosce Adriano Celentano che gli propone di entrare nel suo complesso, i Rock Boys. Alla fine del 1958 Jannacci con Gaber, forma un duo “I Due Corsari”, e nel 1959 incide i primi dischi, per la Ricordi.
Come jazzista suona con musicisti come Stan Getz, Gerry Mulligan, Chet Baker, Franco Cerri e Bud Powell e scusate se è poco.
Debutta come solista con canzoni in cui fa già intuire la comicità surreale, di gran parte della sua produzione artistica.
Nel febbraio 1961 Giorgio Gaber partecipa al Festival di Sanremo con una canzone scritta da lui, “Benzina e cerini”, ma non ha grande fortuna. Scrive “Un nano speciale” e “L’artista”, nelle quali racconta individui poveri ed emarginati, una tematica che affronterà ripetutamente nell’arco di tutta la sua carriera di cantautore.
Al Derby, locale milanese di cabaret, conosce Dario Fo e scrive: “El portava i scarp del tennis”, commovente racconto della vita modesta di un senzatetto milanese; “Veronica”, con testo scritto da Fo e Sandro Ciotti, racconto di un amore mercenario consumato al cinema; “Sfiorisci bel fiore” sulle morti in miniera.
Scrive “La mia morosa la va alla fonte”, basata su una melodia del XV secolo, successivamente ripresa da un giovanissimo Fabrizio De André, che la userà come accompagnamento per una delle sue canzoni più famose, “Via del Campo”.
Il 1966 è l’anno di “Sei minuti all’alba”, sul tema della Resistenza, argomento tra i più cari, per i trascorsi del padre nei corpi partigiani durante la seconda guerra mondiale; la canzone, dedicata a tutti coloro che condivisero questa difficile esperienza, parla del breve tempo che separa il partigiano catturato, dalla sua fucilazione, che avverrà proprio al sorgere del Sole.
Dalla collaborazione con Fo nasce “Vengo anch’io”. che balza in cima a tutte le classifiche, al primo posto dell’hit parade di Lelio Luttazzi.
Il testo completo e originario della canzone, ha rivelato l’esistenza di due strofe che, per motivi legati alla censura, sono state rimosse dalla canzone; una sulla tragedia dei minatori italiani in Belgio, il Disastro di Marcinelle; l’altra sulla sanguinaria dittatura del generale congolese Mobutu.
Gli apprezzamenti della critica arrivano anche con “Ho visto un re”, cantato insieme a Fo, pezzo ironico pieno di metafore a sfondo politico; quello «di cui si deve ridere ma che non deve essere da ridere». Non a caso, diventa uno dei brani simbolo del ’68.
Vorrebbe presentare “Ho visto un re” a Canzonissima, ma la commissione Rai si oppone, ritenendola eccessivamente intrisa di significato politico.
La delusione induce Jannacci a trasferirsi per quattro anni, prima in Sudafrica e poi negli Stati Uniti. Riprende gli studi di chirurgia e cardiologia, che aveva abbandonato temporaneamente dopo la laurea e l’inizio della carriera nel mondo dello spettacolo. Collabora con il cardiologo Christiaan Barnard.
La notorietà subisce un calo vistoso, ma Enzo continua a scrivere nuove canzoni tra cui spiccano “Mexico e nuvole”, e “Ragazzo padre”, manifesto di problemi sulla genitorialità in Italia, attualissimi anche ora.
Nella seconda metà degli anni settanta Jannacci si dedica soprattutto alla sua professione di medico, non abbandonando tuttavia la musica; pubblica quattro album di inediti in appena cinque anni. La sua musica rimane piuttosto nascosta, ma Jannacci non sembra preoccuparsene più di tanto; sempre più rade si fanno difatti le sue apparizioni in televisione,
Al suo definitivo rientro in Italia, la carriera musicale, dopo il lungo periodo di semioscurità, riprende. Paolo Conte diventa per Jannacci un punto di riferimento sia negli studi di registrazione che nella vita privata; i due scrivono insieme “Bartali”, tributo al ciclismo e soprattutto all’uomo.
Nel 1980 Jannacci riguadagna nella musica italiana il posto di primo piano che gli spettava e che non lascerà mai più.
Jannacci muore a Milano il 29 marzo 2013, all’età di 77 anni, a causa di un tumore.”
E’ sepolto al Monumentale con Gaber, Merini. Fo e Franca Rame come vicini.

Andrea Natile

Creatore di contenuti digitali di arte, musica, storia e scienza

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